C’era una volta una terra di borghi appollaiati sulle montagne, ridenti pascoli e grandi lavoratori.
C’era una volta una terra di borghi appollaiati sulle montagne, ridenti pascoli e grandi lavoratori. In questa terra, chiamata Abruzzo, in un paese ricamato ai piedi del Gran Sasso, Santo Stefano di Sessanio, viveva una principessa, il cui sogno più grande era quello di poter vedere il mondo. I genitori però non volevano lasciarla uscire dalla torre costruita al centro del paese: era troppo pericoloso per una fanciulla. La principessa soffriva, troppi giorni trascorreva alla finestra, osservando cavalieri e carri scendere a valle, sulla strada e perdersi per chissà dove. Così una notte, di nascosto, la principessa, con il cuore in gola per la paura e l’emozione, scappò e, attraversando il bosco, raggiunse i pastori che si dirigevano alla transumanza, lungo il Tratturo regio che portava a Foggia. Questo tratturo era il più grande e il più trafficato percorso per portare le greggi a pascolare durante l’inverno ed aveva reso grande e florido il borgo.
La principessa si guardava intorno mentre si affrettava. Come le appariva vasto il cielo! E cos’era quella luce argentata a valle? Era il lago che rifletteva la luna. Quanto era splendida la sua Sessanio di notte!
Ma se i pastori l’avessero vista, l’avrebbero riportata alla torre! Allora la principessa rubò gli abiti ad un pastore addormentato e si vestì da uomo, con un pezzo di carbone si disegnò i baffi e si unì alla lunga schiera di transumanti. Migliaia e migliaia di pecore, in particolare quelle nere di carfagna, e centinaia di uomini percorrevano il tratturo ed era tutto un allegro belare e un forte schiamazzare e fischiare ed abbaiare di cani pastore: la principessa pensò di non aver mai visto niente di più bello. Guardò da lontano il suo paese: le mura, la torre, le case, tutto si ergeva magnificamente costruito. Per un attimo la principessa esitò, pensò di tornare a casa, pensò ai campi addormentati, pensò alle donne intente a tessere e a cardare, pensò ai panettieri e ai calzolai, pensò alla sua gente onesta e laboriosa, abbracciò con la mente tutti i vicoli stretti e concentrici, ogni singola pietra della sua torre, e pianse. “Tornerò –disse- mia Sessanio, ma prima sarò come l’umile pastore d’Abruzzo: con fatica scoprirò, dopo tanto viaggiare, che anche il mare, se potesse, ti verrebbe a trovare.”